«La follia è una condizione umana.
In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare la ragione quanto la follia,
invece incarica la psichiatria di tradurre la follia come una malattia eliminandola.
Il manicomio ha qui la sua ragione d’essere.»
F. Basaglia
LA VITA
Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo del 1924. Mezzano di tre figli in una famiglia piuttosto agiata, si laurea all’età di 25 anni, nel 1949, presso l’Università di Padova, dopo aver frequentato il liceo classico della sua città. Nel 1953 si specializza in “Malattie nervose e mentali” presso la facoltà della clinica neuropsichiatrica di Padova.
Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto in carcere per sei mesi, fino alla fine della guerra. L’esperienza lo segna profondamente, al punto che Basaglia la rievoca anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.
A Padova – dove lavora come assistente fino al 1961 – produce un grande lavoro intellettuale con un susseguirsi di scritti, pubblicazioni scientifiche, relazioni congressuali sulle più diverse condizioni di malattia che poteva incontrare nella sua pratica clinica: la schizofrenia, gli stati ossessivi, l’ipocondria, la depersonalizzazione somatopsichica, la depressione, la sindrome paranoide, l’anoressia, i disturbi correlati all’abuso alcolico e altro ancora. Sono anni in cui incomincia anche ad appassionarsi di filosofia, studiandone in particolare la fenomenologia e l’esistenzialismo.
Nel 1961 partecipa e vince il concorso per la direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Drammatico è l’impatto con la durezza della realtà manicomiale: Basaglia comprende subito che bisogna reagire a questo orrore, impegnandosi in un radicale lavoro di trasformazione istituzionale.
IL CONTESTO
La situazione politico-sociale a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta è il contesto in cui la rivoluzione basagliana prende piede e l’eco della legge è viva ancora oggi. Nel 1904 il governo Giolitti promulga la prima legge italiana sull’assistenza psichiatrica, stabilendo che debbano essere chiuse in manicomio le persone giudicate pericolose – per sé o per altri – e coloro che causano pubblico scandalo. Tra abusi ed errori medici, abuso politico dei manicomi e trattamenti disumani, dopo più di settant’ anni, arriva la riforma dell’intera istituzione psichiatrica con la legge 180 del 1978.
L’Italia nei primi anni sessanta era ancora immersa nel miracolo economico che aveva provocato forti squilibri strutturali nella società; vi era ancora un forte immobilismo in particolar modo nel sistema previdenziale/assistenziale/sanitario. In un contesto di forte fermento sociale, non a caso il 1978 fu anche l’anno della Legge 194 che sancisce il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, anche nel campo della psichiatria si avvia un processo innovativo denominato “antipsichiatria”, in cui Basaglia si inserisce, aderendovi e portando avanti una critica all’istituzione psichiatrica, incarnata nel manicomio.
L’esperienza diretta porta Basaglia a vivere in prima persona i metodi inumani e brutali delle cure manicomiali che miravano all’esclusione sociale del malato mentale e al suo internamento. L’antipsichiatria oppone una visione critica del modello medico biologico che restituisce al malato la dignità di individuo sociale al pari di tutti. Ispirandosi ai movimenti sociali britannici, Basaglia propone anche in Italia la sostituzione del manicomio con la “comunità terapeutica” che include il malato nel processo di inserimento sociale.
LA LEGGE BASAGLIA (l.180/1978)
La Legge numero 180 del 13 maggio 1978, conosciuta come Legge Basaglia, sancisce, in Italia, la tematica degli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori. Gli undici articoli della legge hanno regolamentato il TSO e istituito i servizi di igiene mentale pubblici, ma, per l’innovazione più grande ovvero l’abrogazione degli ospedali psichiatrici, ci sono voluti altri 20 anni.
La chiusura dei manicomi, che ha restituito ai malati mentali gli stessi diritti di cittadinanza delle persone sane, ha permesso la cura tramite l’integrazione sociale, eliminando l’esclusione e l’ emarginazione che i malati subivano prima che tale legge entrasse in vigore. Ne è risultata una umanizzazione della cura alla quale l’Italia è pervenuta approvando una delle leggi più democratiche al mondo e che le permette di avere tutt’ora un modello sanitario/psichiatrico ancora unico in Europa.